Piccole cose

Kiwanga, 14 marzo 2024 (*)

Guardando il panorama dei grandi e spesso terribili eventi che stanno scuotendo il mondo e dei problemi che sembrano senza soluzione, almeno per il sempre più grande numero di poveri, affamati, profughi, oppressi, quanto sto vivendo qui nell’orfanotrofio di Kiwanga in questi giorni è un susseguirsi di “piccole cose”, che potrebbero benissimo essere definite insignificanti.

Clement Sserunjogi, uno degli orfani storici, ormai adulto, mi ha mandato oggi un WhatsApp di ringraziamento dal quale traspariva una grande gioia. Il motivo? Poco prima gli avevo inviato una sua foto di 30 anni fa, che a mia volta avevo ricevuto dagli amici Nadia e Maurizio, che lo avevano “sostenuto a distanza” negli anni Novanta dopo averlo incontrato di persona nel Natale 1992 durante un periodo di volontariato a Kiwanga. Qualche giorno fa li avevo messi in contatto con una videochiamata – e già quella era stata per lui una grande cosa – ma ora la sua gioia derivava dal fatto che quella ricevuta era l’unica sua foto di quand’era bambino e lui era orgoglioso di poterla mostrare alla moglie e ai suoi due bambini piccoli.

Michael Kisaakye è un altro degli ospiti storici di Kiwanga. Con grave disabilità sia fisica che mentale, dopo essermi corso incontro con la sua andatura traballante e avermi abbracciato forte, la prima cosa che mi ha chiesto è di Auntie Lalla (zia Lalla). Maria Laura Tabacchi, che è stata qui come volontaria per un intero anno nel 1995/96, evidentemente ha lasciato il segno in lui, così come in molti altri. D’altronde non poteva essere che così visto che, tra le altre cose, lei era riuscita nell’impresa di portare i disabili di Kiwanga un pomeriggio intero ogni settimana a nuotare e divertirsi nella piscina del Colline Hotel di Mukono, distante una decina di chilometri da Kiwanga. Preso il telefono, ho provato a chiamare Lalla ed ecco che, grazie alle moderne diavolerie tecnologiche, Michael ha potuto vedere e salutare la “sua” Lalla… Momenti di vera commozione da entrambe le parti.

Teresa Kawala (Teresona) è un po’ il simbolo stesso di Kiwanga. È qui da sempre e il suo sorriso e il suo modo di fare, il fatto che dia il benvenuto agli ospiti cantando il ritornello di “Volare”, la rendono simpatica a tutti. Ma Teresona è anche quella che si prende cura dei più piccoli e che ogni volta mi segnala se qualcuno sta male o ha bisogno di qualcosa. Da qualche anno anche lei ha qualche problema di salute soprattutto a un ginocchio, che spesso è gonfio e dolorante, frutto probabilmente di artrite. Ormai tra me e lei si ripete sempre lo stesso teatrino: lei si lamenta, io le propongo come soluzione il taglio del pezzo di gamba dolorante e la sua sostituzione con un pezzo di legno. Lei mi guarda cercando di capire se parlo seriamente e poi se ne esce con una lunga serie di “No! No! No!” e con un sorriso con cui probabilmente mi vuol dire “Tu sei proprio matto!”.

Un abbraccio, una videochiamata, una foto, uno scherzo. “Piccole cose”, che però hanno il potere di cambiare un po’ il mondo di Clement, di Michael, di Teresona… E anche il mio.

Piergiorgio Da Rold

(*) Ho trascorso finora la maggior parte dei miei giorni ugandesi presso l’orfanotrofio di Kiwanga, che tanta parte ha avuto nella storia di “Insieme si può…”, per verificare se persistono ancora le condizioni per rinnovare per il futuro il nostro supporto ai 40 disabili ospitati nel Centro, che oggi è sotto la responsabilità della Diocesi di Kampala. Nella foto sono ritratti gli ospiti più piccoli che frequentano la vicina scuola elementare. Alcuni sono disabili, altri orfani o abbandonati.