Storie di pane, e futuro

Ho conosciuto David nel 2019. Ricordo ancora quando è entrato per la prima volta in ufficio e si è subito diretto verso il punto della stanza più colorato, senza tante formalità. All’inizio ho lasciato fare, non è stato sicuramente il primo, ma dopo un po’ sono dovuta intervenire per evitare che la situazione degenerasse. Mi sono avvicinata e mi sono messa fisicamente tra lui e le cose colorate che aveva davanti, e lui ha tentato di aggirarmi come se niente fosse, come se fossi un mobile qualsiasi. Ho riprovato con più determinazione, unendo anche un “no” con voce ferma e impostata: niente. David non mi percepiva, non interagiva con me. Mi vedeva, ma non mi guardava, per lui ero solo un ostacolo sul suo cammino.

Se penso a dove è arrivato oggi David… Quando lo vedo, gli dico “Ciao, batti cinque!” e gli mostro la mano, mi dice un bel “ciao” in risposta e batte secco. È cresciuto, ha imparato le autonomie di base, comunica, adesso mi guarda e guarda la realtà che lo circonda. La guarda e la reinterpreta a modo suo, con quegli occhi vispetti e ben impegnativi da gestire.

Guarda il papà che finalmente ha un contratto a tempo indeterminato e che, con lo stipendio fisso, sta pensando di fare un mutuo per l’acquisto della casa. Guarda la mamma, che da poco ha preso la patente con il pancione di quasi 9 mesi. Guarda la maestra di sostegno e le maestre dell’asilo, che ogni giorno lo accolgono e, a dir la verità, ogni tanto non ne possono più di rincorrerlo. Guarda la psicomotricista, guarda la volontaria che ogni tanto va a casa a salutarlo e gli porta qualche vestitino o qualche gioco, quando viene in ufficio guarda la sottoscritta, ma penso sia quasi esclusivamente perché ha capito in quale cassetto della scrivania tengo le caramelle, e infatti immancabilmente gliene do una.

Questo è lo sguardo di David, che rilegge la realtà con gli occhi di un bambino autistico di 4 anni, figlio di una mamma e di un papà giovanissimi, che hanno deciso di costruire una famiglia con tutte le difficoltà che questo comporta. Che si sono rivolti a noi due anni fa per chiedere un aiuto per la spesa alimentare, per qualche bolletta e per comprare i pannolini di David quando il lavoro del papà c’era, ma la già scarsa retribuzione non era neanche versata con regolarità a causa delle difficoltà dell’azienda. Che abbiamo continuato ad affiancare quando lui ha trovato un nuovo impiego, ma inizialmente con contratti a termine di pochi mesi che non garantivano stabilità alla famiglia. Che continuiamo a seguire, ma da quasi un anno non più economicamente: quando ci incontriamo parliamo di come si fa a comprare casa, dell’assicurazione della macchina, di iscrivere David a scuola… Parliamo di futuro, e finalmente, ora, riusciamo anche a vederlo.

Francesca Gaio