#cibo: Ariyalur, India

Storie dell’altro mondo

 

Give, but give until it hurts, dice Madre Teresa di Calcutta. Dona, dona finché non ti fa male… Un’affermazione forte, come lo era la piccola suora di origine albanese che ha dedicato la sua vita agli ultimi.

Queste sono le parole che ci motivano durante le settimane di emergenza sanitaria. Murugankottai è un piccolo villaggio Dalit (i Dalit sono gli appartenenti alla casta più bassa della società, letteralmente significa “oppressi”) nel distretto di Ariyalur, Tamil Nadu, nel sud-est dell’India, abitato da oltre 96 famiglie e circa 450 persone, molto povere, che di solito si guadagnano da vivere lavorando alla giornata nei campi di famiglie di caste elevate. Trovandosi in una zona remota del distretto, non è servito da bus per permettere alle persone di spostarsi o ai bambini di raggiungere le scuole. Per molti anni queste famiglie sono rimaste isolate. Grazie all’intervento di “Insieme si può…” molti bambini, che una volta dovevano camminare diverse ore per raggiungere le scuole, adesso utilizzano le biciclette che gli sono state donate. La recente epidemia ha provocato gravi disastri in tutto il mondo, specialmente in questo villaggio già isolato e ora lasciato senza alcun mezzo di sopravvivenza.

Penso alla famiglia di Ambrose. Cinque persone: lui, la moglie Victoria, la prima figlia Priya, Piula la seconda e Bridjit l’ultima nata, che soffre di un ritardo mentale. Parlando con Victoria, mi racconta questo: “Siamo una famiglia molto povera e la nostra terza figlia ha un ritardo mentale fin dalla nascita. Abbiamo potuto mandare Priya a scuola fino all’università, dove ha iniziato a studiare economia, ma adesso è a casa e ci aiuta nel lavoro nei campi perché non possiamo più permetterci di sostenere la retta. Dato che abbiamo investito molto negli studi di Priya, il percorso scolastico di Piula è terminato con le scuole medie, poi le abbiamo chiesto di tornare a casa e lavorare con noi. Tutti noi, eccetto Bridjit, ogni giorno cerchiamo un lavoro e viviamo con quel poco che riusciamo a guadagnare, ma che spesso basta solo per acquistare il cibo quotidiano.

Con l’epidemia in corso, il nostro villaggio è stato chiuso e tutti i lavori si sono fermati. Comprare del cibo è diventata una sfida enorme per noi perché non abbiamo più soldi. Dobbiamo ancora ripagare il prestito contratto per gli studi di Priya e nessuno può più prestarci denaro finché non estinguiamo il primo debito. Abbiamo iniziato a mangiare solo una volta al giorno. Bridjit però non riesce a capire la situazione e ha iniziato a chiedere più cibo, ma noi non siamo stati in grado di darglielo. È stato uno strazio vederla lamentarsi. Volevamo mangiare almeno una volta al giorno per tenerci pronti a tornare a lavorare non appena il governo avesse deciso la fine del lockdown. Il riso che avevamo è durato poco, eravamo in difficoltà e avevamo paura. Abbiamo pensato che saremmo morti di fame uno dopo l’altro.

Ma ci ha raggiunto una bella notizia: “Insieme si può…”, sapendo della povertà e delle gravi condizioni delle famiglie del nostro villaggio e di quelli vicini, ci avrebbe aiutato donando riso e generi alimentari. Abbiamo ringraziato Dio per aver mandato qualcuno a salvare le nostre vite. Il giorno successivo abbiamo ricevuto gli alimenti, abbiamo iniziato a cucinare e mangiare non uno ma ben due pasti al giorno e siamo tornati in forze. ISP ha continuato ad aiutarci per le cinque settimane successive. Crediamo e testimoniamo che se oggi noi e le nostre famiglie siamo vivi è solo grazie a questo tempestivo aiuto e vi ringraziamo dal profondo del nostro cuore”.

 

di Don Adaikalasamy Erudayam, Referente progetti ad Ariyalur (India)