La cura della scelta, la scelta della cura

Intervista a Spiridione Della Lucia, marito, padre, volontario, medico, musicista, poeta, scrittore…

Partiamo da una tua breve presentazione…
Sono marito e padre di famiglia, famiglia che fin da subito abbiamo avuto il desiderio di aprire all’accoglienza. Poi sono medico da 33 anni a Belluno, dedicando una parte significativa del mio tempo alla prevenzione e restando da sempre affascinato dalla dimensione etica di questo lavoro. Infine, ma non per ultimo, sono “pluri-volontario” per Insieme si può, LILT e associazione Bucaneve.

Se ti chiediamo di descriverti in tre parole cosa ci dici?
Sono un entusiasta della vita a 360 gradi; amo le sfide e mettermi in gioco, con tutti i rischi del caso; credo nella solidarietà e nella Provvidenza, perché ho avuto modo di vederle con i miei occhi. Il tutto permeato dalla fede, che è quella che non mi fa mollare mai.

E ISP in tre parole?
Opportunità da cogliere, bella famiglia allargata, risposta al bisogno di giustizia.

Come collabori con Insieme si può?
Cerco sempre di sostenere le varie iniziative di ISP, che vengono accolte con entusiasmo anche da tutta la mia famiglia. Da volontario ho seguito alcune importanti manifestazioni come i due abbracci delle Dolomiti, coordinando lo staff medico, o la Maratona dles Dolomites; poi partecipo personalmente ad alcuni progetti di formazione per le scuole e la cittadinanza… E non dimentichiamo le esibizioni musicali con il mio gruppo alla Festa del Pesce di Cusighe! Avrei sempre voluto anche andare sul campo, nei Paesi del Sud del mondo dove ISP opera, ma non ci sono mai riuscito.

Quando sei entrato in contatto con l’Associazione?
Ho conosciuto Piergiorgio ad inizio anni Ottanta, partecipando ad una serata in cui raccontava della sua esperienza con don Vittorione, della scelta di stare con i più deboli e di far conoscere agli altri questo suo impegno. Da allora, con grande stima e ammirazione incondizionata per la sua scelta, mi sono avvicinato a Insieme si può.

Cosa significa la parola “scelta” per te?
Come dicevo prima, ritengo la dimensione etica la parte nobile del mio lavoro, quella che mi ha sempre “intrigato”, e l’etica è indissolubilmente legata al concetto di scelta: fare il bene proprio e della collettività è frutto di scelte continue in vari ambiti. Le scelte che compiamo ci portano verso il giusto, il buono, il bello oppure verso la sofferenza, il danno grave o gravissimo: faccio l’esempio della salute, con il Nord del mondo che si ammala e muore per le scelte legate al benessere (vedi fumo, uso di sostanze, eccessi nell’alimentazione) e il Sud del mondo che non riesce a sopravvivere, spesso non avendo nemmeno possibilità di scelta.

Quale quindi il peso della scelta individuale, che molte volte sembra insignificante?
Il peso è assolutamente enorme: partendo dalle scelte possiamo recuperare il vero senso delle cose, analizzarle, formulare il nostro giudizio critico e poi agire, “metterci la faccia”, fare la nostra parte. Scegliere significa rispondere alla domanda: da che parte voglio stare come individuo?

In questo numero del mensile parliamo di salute, inevitabilmente affiora l’argomento pandemia.
La pandemia ha purtroppo paralizzato molti aspetti della relazione, ma ne ha fatti scoprire o mutare altri. Esempio apparentemente banale, la comunicazione attraverso gli occhi, a causa della mascherina: una fonte di costrizione per il volto ha paradossalmente liberato la forza dello sguardo come mezzo per incontrare gli altri, condividere la difficoltà, farsi coraggio. Nelle strutture sanitarie, in prima linea in quest’emergenza, lo abbiamo visto elevato all’ennesima potenza.

Due temi globali, polarizzati nell’ultimo anno e mezzo. Il primo: la pandemia è per tutti, le cure no.
Poter essere curati è un privilegio e non un diritto umano garantito ancora in troppi luoghi del pianeta, e l’emergenza, come sempre, ha accentuato la disuguaglianza. In una parte di mondo c’è un surplus, una disponibilità a volte persino esagerata da potersi addirittura permettere di rifiutare; da un’altra parte del mondo non c’è e arriverà con fatica, o addirittura mai: e non parlo solo delle cure mediche o dei vaccini, ma anche di cibo, di acqua, di istruzione… Mi ritengo fortunato ad aver avuto l’opportunità di essere vaccinato, tra l’altro tra i primi per rischio professionale ed età: mi chiedo perché un medico come me ad un’altra latitudine non abbia la stessa possibilità, eppure corre i miei stessi rischi. Il volontario che c’è in me vuole lottare perché non sia più così.

Il secondo: la solidarietà.
La pandemia ci ha rimesso davanti agli occhi la disuguaglianza nella distribuzione delle risorse, e proprio per questo va colta come occasione per rilanciare il diritto di giustizia, come spinta interiore per continuare ad agire in senso solidale, forse facendo anche qualcosa in più del solito. Non dobbiamo perdere la capacità di scandalizzarci, la cosa peggiore è l’anestesia dell’indifferenza, che è indirettamente complice del “carnefice” di turno. Se ci scandalizziamo significa che siamo ancora sani, che siamo vaccinati contro l’indifferenza e l’autoreferenzialità, spesso al primo posto nella scala dei bisogni del mondo occidentale.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la salute è “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “l’assenza di malattia o di infermità”.
Trent’anni fa insegnavo alla scuola infermieri e ricordo che spiegavo questo concetto! Certo: il benessere fisico, strettamente e urgentemente legato ad uno stile di vita sobrio; il benessere mentale, la lucidità derivante dalla sobrietà, il mens sana in corpore sano di antica memoria; poi il benessere sociale, un corpo sano con la mente lucida interagisce meglio con l’ambiente in cui si trova, può dare al contesto la propria energia positiva. Direi una perfetta prescrizione per l’esistenza di ogni individuo, dobbiamo però impegnarci tutti insieme perché sia realtà per quante più persone possibili.

Quale la ricetta (medica, ovviamente) per un mondo futuro in salute?
Consapevolezza dei rischi e dei benefici; ricerca di un equilibrio tra le varie dimensioni, esistenziali e strutturali; sguardo attento e aperto nel vedere le cose: tutto questo porta a scelte, per tracciare solchi in cui camminare, fianco a fianco, verso il futuro. Molte volte è il volontariato a tracciare questi solchi, a dare stabilità nelle tendenze fluttuanti del mondo occidentale.

Cosa significa, per te, essere ISP?
Essere parte di una famiglia, vissuta con una dimensione molto “domestica”: la cura per il figlio più debole, la risposta collettiva ad un bisogno rilevato, la condivisione di ideali e idee, l’impegno per una causa comune, l’eredità da lasciare ai posteri, la felicità di essere in buona compagnia.