Riprendere in mano la propria vita a 360°

Ci sono malattie che ti annullano, che portano con sé uno stigma tanto pesante e profondo da cancellare la complessità di ciascun individuo facendolo sentire unicamente ridotto alla patologia che ne divora il corpo. Tra queste c’è sicuramente l’AIDS.

Ci sono piaghe sociali che annullano intere comunità, che le fanno sembrare popolate da morti viventi ed esseri morenti. Tra queste c’è sicuramente l’AIDS.

Essere sieropositivo spesso non significa infatti solamente essere affetto da una malattia grave ed inguaribile, ma anche e soprattutto essere condannato a vivere nell’emarginazione e nella discriminazione sociale. In Uganda la sieropositività è un problema maggiormente femminile: secondo l’ONU, le adolescenti affette da HIV rappresentano 2/3 dei sieropositivi presenti nel Paese, con tassi di incidenza 4 volte più alti di quelli dei coetanei maschi. Ciononostante, solamente il 30% delle giovani ugandesi ha accesso ai test diagnostici per la sieropositività. Tra le donne adulte nella fascia di età tra i 40 e i 55 anni si raggiungono tassi di sieropositività addirittura superiori al 13%.

In alcuni slum (baraccopoli) delle principali città ugandesi questi numeri – già così preoccupanti – raddoppiano, triplicano, quadruplicano… Tra questi c’è Kigungu, slum sconfinato che sorge sulle rive del Lago Vittoria nella periferia della ricca e moderna città di Entebbe. Qui, l’associazione “Kids in need” (KIN) si impegna da anni per prevenire l’ulteriore diffusione dell’HIV, così come per sostenere donne e ragazze nell’accesso alle cure antiretrovirali. Infatti, nonostante queste siano gratuite ed accessibili in molti ospedali e centri medici ugandesi, spesso le persone sieropositive non vi si recano per paura che ne derivino stigmi e discriminazioni.

Riconoscendo l’importanza e la qualità del lavoro di KIN, “Insieme si può…” si è impegnata al suo fianco per il sostegno a oltre 100 persone sieropositive di Kigungu con un progetto che si compone di 3 linee di intervento: consulenza medica e supporto per l’assunzione continuativa della terapia e per l’individuazione precoce e la cura di eventuali complicazioni; supporto nutrizionale per 50 persone sieropositive che presentano segni di malnutrizione; avviamento di 30 attività generatrici di reddito e di gruppi di risparmio per altrettante donne o famiglie beneficiarie.

Fin dai primi mesi di implementazione del progetto è risultato evidente che il suo impatto non sarebbe stato unicamente economico o medico. L’attenzione e l’ascolto offerto a donne che si erano sentite annientate dalla malattia ha permesso loro di tornare ad identificarsi con altro dall’HIV, di uscire dalla gabbia mentale dello stigma a cui loro per prime riducevano la propria intera personalità. La grandezza di questo progetto è infatti quella di aiutare decine di donne a smettere di percepirsi unicamente come un corpo svuotato di vita da un virus letale, e a riscoprirsi vive, donne, madri, mogli, sorelle, figlie, lavoratrici a 360° per 365 giorni l’anno.

Francesca Costantini – Responsabile progetti internazionali di “Insieme si può…”