L’impegno per i profughi venezuelani in Perù

Persecuzioni politiche, povertà, una drammatica situazione economica, disoccupazione, iperinflazione, i continui razionamenti di cibo ed energia elettrica e un sistema sanitario al collasso hanno spinto in pochi anni milioni di venezuelani ad affrontare lunghi tragitti anche a piedi per varcare le frontiere: i “caminantes”, così vengono chiamati…

Secondo le ultime cifre dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), il 96% dei venezuelani è povero. L’inflazione è del 3.713%. Il salario minimo è di 1 dollaro USA al mese. Inoltre, il Venezuela è il Paese in America Latina con la più alta percentuale di omicidi. Il livello di instabilità e terrore politico è alto, con gravi violazioni dei diritti umani e crimini di lesa umanità come tortura ed esecuzioni arbitrarie. È tra i 5 Paesi al mondo che più sono regrediti sul fronte della democrazia negli ultimi 10 anni, con una forte espansione dell’autoritarismo.

Quella del popolo venezuelano rappresenta la seconda più ampia migrazione di massa al mondo. Secondo dati di questi giorni, sono 5 milioni e mezzo coloro che sono fuggiti. La Colombia, uno dei Paesi vicini, ne ha accolti 1.7 milioni, seguita dal Perù (1.043.000 migranti), Cile (456 mila), Ecuador (420 mila), Brasile (267mila) e Argentina (186 mila).

Nel dicembre 2017, accogliendo qui in Perù Ofelia e Armando, una coppia di venezuelani amici da vecchia data, non immaginavamo cosa sarebbe accaduto dopo.  Le nostre guide sono sempre stati i 4 verbi indicati dal Papa nel suo messaggio per la Giornata dei Migranti del 2017: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.

La nostra comunità a Lima e poi quella di Arequipa hanno avviato una concreta comunione dei beni per cui ci sono arrivati indumenti, scarpe, coperte, alimenti, medicine… Una comunione che, e questo ci sorprende ogni volta, non si è mai interrotta fino ad oggi. Un concreto amore reciproco ha contagiato gli stessi venezuelani: chi era senza scarpe veniva da noi e, se gliene offrivamo due paia, subito diceva: “No, basta un paio, questo può servire a un altro che ne ha bisogno”.

Consegniamo alimenti, medicine, abiti, diamo un aiuto per sostenere i costi degli affitti, accompagnare le pratiche dei visti e per l’avvio di piccole attività imprenditoriali di sussistenza. Tutto è possibile grazie al supporto di organizzazioni, associazioni e ONG che ci sostengono sia con donazioni che a livello logistico.

Lo sconforto in queste persone e famiglie è all’ordine del giorno, scappano dalle loro case raccattando il minimo necessario e percorrendo centinaia o migliaia di chilometri a piedi. Ma è bello vedere che il contatto con noi, con quell’ideale di fraternità che cerchiamo di vivere perché è alla base delle nostre azioni, quasi li abbaglia e li trasforma, anche nei rapporti tra di loro. Vediamo come aderiscono con entusiasmo e generosità, avendo capito che mettere in comune le necessità è anche una forma di dare. In questi giorni un messaggio di una giovane venezuelana sul nostro gruppo di WhatsApp diceva: “Che qualcuno ti aiuti non significa che tu hai fallito, ma che non sei solo!”.

Silvano Roggero