Il mio viaggio ai tempi del lockdown

Tutto pronto per partire: la valigia è lì, le misure richieste dalla compagnia aerea per il bagaglio a mano sono state verificate. Accordo per l’ottimizzazione delle cose da portare, basta un solo phon per così pochi giorni, un paio di scarpe, tu ti porti anche l’ombrello? Volo prenotato, incastrato le ferie di tutti, che belli i tempi in cui eravamo studenti con tanto tempo a disposizione! Ora sette amici con sette lavori diversi, ma è da tanto che non ci vediamo tutti insieme… Dai, andiamo a Madrid un fine settimana a trovare Alice e ricordiamo i vecchi tempi… Fatta!

Bei progetti, poi arriva l’ottavo partecipante con cui nessuno (ovviamente) aveva fatto i conti. È lui che blocca tutto, ma chi se ne frega del nostro viaggio: il problema è che blocca il mondo intero e costringe tutti a stare chiusi dentro casa, con il terrore di uscire e le altre persone viste come potenziali pericoli, portatrici di questo nuovo subdolo virus, dalle quali stare il più distanti possibile.

E dopo le prime settimane di spaesamento, in un clima surreale fuori dalla finestra e la mente che cerca di trovare una sua stabilità, diverse richieste mi riportano alla vita vera e mi rendo conto che posso viaggiare lo stesso ai tempi del lockdown: posso e devo, perché io sto bene, posso comprare cibo e pagare le bollette, ho il computer e la connessione wi-fi che mi permettono di lavorare da casa in tranquillità.

Inizio così il mio viaggio ai tempi del lockdown, quello che non avrei mai pensato di chiamare viaggio, quello sulle strade amiche del mio Comune, senza valigia ma con la Panda carica di pacchi spesa o di scatole di alimenti invenduti donati da ditte locali da distribuire alle famiglie in difficoltà. E al posto degli occhiali da sole, che a Madrid quasi certamente avrei usato, doppia mascherina e guanti, la “moda” del 2020.

Insieme ai pacchi alimentari ho con me anche materiale di cancelleria da portare ai bambini alle prese con la novità della didattica a distanza, stampe di schede e consegne inviatemi dai professori per la decina di alunni senza mezzi tecnologici che mi sono incaricata di seguire per quanto possibile, a cui periodicamente ho imbucato nella cassetta della posta o lasciato fuori dalla porta i compiti da fare (attirandomi probabilmente le maledizioni di qualcuno di loro, non proprio entusiasta dell’impegno scolastico…). E poi le buste da distribuire con il programma mandato dagli insegnanti di Belluno per i corsisti stranieri che, per la prima volta in assoluto in questo Comune, stavano seguendo le lezioni per conseguire la licenza media per adulti, quindi un titolo di studio e la base per un futuro qui in Italia, che si sono poi diplomati a giugno.

Non sono sola, altre persone con me, tutte a debita distanza ma pronte a raccogliere le richieste di quanti, accanto a noi, per mancanza di mezzi di varia natura sono stati più duramente colpiti da quell’ottavo partecipante, che abbiamo conosciuto a fine febbraio, con cui ancora ci troviamo a dover fare i conti e a causa del quale ci stiamo ancora spostando con accanto i pacchi alimentari, il materiale scolastico, le bollette da pagare o i farmaci da consegnare.

Posso dire di aver viaggiato nel 2020, sulle strade amiche del mio Comune, senza valigia: un viaggio di pochi chilometri percorsi infinite volte, con dei compagni inaspettati e alcune volte non conosciuti prima, uno dei viaggi che più difficilmente scorderò.

Francesca Gaio