#cibo: Kampala, Uganda

Storie dell’altro mondo

 

“Io non capisco più niente, non so… Sono cose misteriose, ma quando sento che hanno fame…”.

Raccolgo questo sfogo da una signora che lavora per una nostra associazione partner, che mi racconta di essere intervenuta per pagare le cure mediche ad un ragazzo. Picchiato per fame. Aveva fame, non ce la faceva più e si è fermato per strada in una specie di chiosco, ha mangiato, alla fine non aveva un soldo per pagare e lo ha semplicemente detto, prendendosi, come conseguenza, una buona quantità di sberle, pugni e calci. Ridotto così, è stata la pietà di una vicina di casa a chiamarla per aiutarlo e il giovane è stato mandato in ospedale.

“Invece di fermarsi al chiosco e rischiare la vita avrebbe dovuto venire da noi come hanno fatto Dorothy con il marito Robert, che vivono con i loro 4 figlioli, ma hanno accettato in casa anche due nipotini gemelli rimasti orfani di entrambi i genitori. Non avevano niente in casa, ho dato loro fagioli e farina di mais, con dello zucchero e dell’olio”.

È una delle tante situazioni di cui vengo a sentire quotidianamente. Il lockdown anche in Uganda ha messo in ginocchio non solo le famiglie che già vivevano in condizioni di disagio, ma anche tante altre che vivevano con un lavoro precario, ma che almeno permetteva loro di sopravvivere senza chiedere niente a nessuno.

Adesso non è più così: il prezzo dei fagioli è triplicato, non resta che mangiare kassawa con un po’ di verdura, che per fortuna si coltiva con poco. Gli aiuti che arrivano dal governo vengono distribuiti una tantum e con tempi incalcolabili: la distribuzione è iniziata nella capitale con tanto di televisioni al seguito per documentare, ma cosa si muove dietro è difficile da raccontare. I media comunicano le donazioni in denaro e in natura, con enormi quantità di sapone, riso, olio, uova, farina e fagioli. Il problema è che solo questi ultimi sono arrivati, e ad una piccola, fortunata fetta di popolazione.

La Chiesa si è mossa durante il periodo di Quaresima: ogni anno donava qualcosa ai più poveri, anche quest’anno lo hanno fatto allargando il numero dei destinatari, arrivando dove potevano.

Le scuole hanno svuotato i loro magazzini dal cibo che avevano comprato per il primo trimestre, ma adesso non c’è più niente e altri 15 giorni sono tanti. Per questo noi non possiamo fermarci, dobbiamo continuare a fare la nostra parte per quanto ci è possibile.

Di sicuro aveva ragione Madre Teresa quando diceva: “Se giudichi le persone, non avrai tempo per amarle”. Allora meglio concentrarsi sulla cosa più importante: AMARE. Magari in questo periodo tutti abbiamo imparato a dare il giusto valore a questo sentimento.

 

di Marilisa Battocchio, Responsabile progetti a Kampala (Uganda)