Solidarietà è anzitutto giustizia

La parola “solidarietà” deriva dal latino giuridico e in origine aveva un significato molto diverso da quello attuale: infatti il sostantivo latino solidum, oltre a significare “duro, compatto, robusto”, nella terminologia giuridica assumeva il significato di “pieno, intero” e indicava l’obbligo di un eventuale creditore a pagare un debito integralmente. Poi con la Rivoluzione Francese è diventato un principio etico riservato alla fratellanza fra concittadini ed è entrato anche nella Costituzione Italiana, che inserisce la solidarietà nel secondo articolo: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. In seguito, negli anni ‘80, fu la Chiesa Cattolica a sdoganarne il significato attuale rendendo la solidarietà un principio che lega i popoli tra loro non solo con l’interdipendenza economica, ma attraverso il principio dell’umanità che ci unisce gli uni agli altri.

Purtroppo a volte rispondiamo con indifferenza, abbinata a insofferenza, alle situazioni di povertà esistenti nel mondo, ma anche a casa nostra e, forse per colpa dei social network, quella che viviamo oggi è sempre più spesso una  “solidarietà da poltrona”, senza un impegno concreto che vada oltre il like a un evento.

Il fatto che la solidarietà non fosse un sentimento o un’idea, ma qualcosa di molto concreto, al punto da farne un decisivo criterio di giudizio, era ben chiaro sin dalle origini del Cristianesimo. Nella sua seconda lettera, Giacomo afferma: “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?” (Giacomo 2, 14-16). Il cristiano è quindi chiamato a vivere la solidarietà anzitutto perché fa esperienza di un Dio che nei suoi confronti si è rivelato non come un Dio lontano, assente, ma come un Dio solidale, un Dio Padre.

Troppe volte ci sentiamo “a posto” per aver messo un vestito vecchio nei cassonetti della raccolta dei vestiti o per aver comunque donato qualcosa a un povero, senza che questo cambiasse minimamente il nostro modo di vivere basato ormai sul consumismo. Il fatto è che, volenti o no, siamo parte di una società profondamente ingiusta sin dalle sue fondamenta, visto che il 20% della popolazione mondiale usa, consuma e spreca l’86% di tutte le risorse della Terra.

Dobbiamo imparare sempre di più che la solidarietà è anzitutto giustizia, che la prima forma della carità è la giustizia, che non c’è carità senza giustizia, che la carità non si fa contro o al di fuori della giustizia. Questo è ben chiaro nello statuto di “Insieme si può…”, dove viene sottolineato come il nostro impegno sia innanzitutto rivolto alla costruzione di un mondo più giusto, con uno stile di vita più solidale che fa entrare i poveri nella propria vita 365 giorni l’anno attraverso azioni concrete o una donazione mensile, frutto magari della rinuncia a una cosa superflua. Infine dobbiamo fare nostra l’idea che la solidarietà supera anche la giustizia perché, come affermava don Lorenzo Milani: “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diseguali”. Solidarietà vera significa allora dare di più a chi ha meno, accettando il fatto che questo a volte può portarci ad aiutare anche chi proprio non se lo merita perché prima di tutto viene la persona e il suo bisogno.

Piergiorgio Da Rold