Informare, sensibilizzare, formare

Federica De Carli segue l’area formazione di ISP, dedicandosi ogni giorno a uno dei principali scopi dell’Associazione, ovvero l’informazione e la sensibilizzazione sul territorio locale e nazionale, con attività di educazione allo sviluppo, percorsi formativi, eventi e campagne. Maria Teresa Vedana è una volontaria di lungo corso dell’Associazione, che da sempre viaggia sul campo per visitare i progetti e incontrarne i beneficiari, riportando poi qui la sua testimonianza diretta.

Presentatevi brevemente.
Federica: Sono una persona… Direi molto fortunata. E sono anche la referente dell’area formazione e sensibilizzazione all’interno dello staff di Insieme si può.
Maria Teresa: Sono una maestra in pensione, e sono originaria di Sospirolo, dove sono tornata a vivere da 30 anni dopo aver abitato a Belluno. Ho 75 anni – e ne sono orgogliosa! – un marito, due figli e quattro nipoti.

Come vi definireste in tre parole?
F. Uso tre verbi: ricercare, analizzare, tessere reti.
M.T. Ottimista, perché cerco di trarre da ogni esperienza il buono, anche se per questo qualcuno ogni tanto mi definisce ingenua; fortunata, perché ho una famiglia, la pensione, la salute, e sono riuscita a realizzare nella mia vita molte cose che non avrei mai pensato di fare; per ultimo direi accogliente, che forse è quello che mi piace di più, perché mi mette in relazione con gli altri.

Come definireste ISP in tre parole?
F.
Opera, narrazione, cambiamento, e cito anche scoperta, competenza e responsabilità.
M.T. Insieme si può è innanzitutto ascolto, ascolto dei bisogni della gente sia sul territorio locale che all’estero, ma anche dei missionari e delle persone che lavorano sul campo. Una volta raccolti e accolti i bisogni, nasce la condivisione, che vuol dire anche fare rete, creare una sinergia per attivarsi e dare delle risposte.

Come avete conosciuto ISP?
F. Da lontano lo conosco da sempre, da vicino in occasione dell’Abbraccio delle Dolomiti per i Diritti Umani del 2009.
M.T. Sono di Sospirolo, come Piergiorgio, abbiamo qualche anno di differenza ma facevamo più o meno la stessa vita di paese e di parrocchia. Ho “assistito” alla nascita di ISP anche se in quel periodo abitavo a Belluno, ma ero sempre al corrente di quello che succedeva nel mio paese natale: con mio marito abbiamo sempre seguito e apprezzato l’attività dell’Associazione, poi quando siamo rientrati a Sospirolo abbiamo sentito l’esigenza di aggregarci al Gruppo e di fare qualcosa in prima persona.

Cos’ha fatto veramente scoccare in te la “scintilla” dell’impegno concreto?
F.
La possibilità di camminare nel quotidiano, vicino a persone e comunità lontane, e il privilegio quindi di vivere lo “straordinario” come “ordinario”.
M.T. Me lo sono chiesta e rispondo che è il lavoro sul campo, a diretto contatto con i beneficiari: Insieme si può mi ha dato l’opportunità di stare con la gente, di vedere le azioni realizzate e toccarne con mano gli effetti. Ho anche avuto la fortuna di condividere tutto con mio marito, e questa è stata sicuramente una motivazione in più.

Qual è la “benzina” che nel tempo ha tenuto vivo quell’impegno?
F.
Il privilegio di cui parlavo prima.
M.T. Il susseguirsi di situazioni sempre nuove. Abbiamo fatto diversi viaggi nelle missioni, ci siamo immersi completamente in questi contesti conoscendo tante persone: così il viaggio diventa incontro, si condivide realmente la vita con l’altro, e questo ogni volta mi dà nuove motivazioni.

In questo numero parliamo di informazione, sensibilizzazione e formazione, tre fronti su cui siete impegnate in prima persona. Partiamo da te Federica, visto che te ne occupi quotidianamente: qual è il rapporto tra queste tre dimensioni “teoriche” e il “lavoro sul campo” della cooperazione?
F.
Ritengo che entrambe le azioni siano indispensabili e che una vive dell’altra: la consapevolezza è motore di azione e l’azione è fonte di consapevolezza, non ve n’è una al di sopra dell’altra, l’una si nutre provvidenzialmente/fatalmente dell’altra. Sono convinta che l’intervento umanitario raggiunga il suo pieno significato solo se accompagnato dalla sensibilizzazione e dall’(in)formazione. 

Gli incontri che realizzi si rivolgono a diversi destinatari di diverse età in diversi contesti. Quali cambiamenti vedi oggi nella metodologia di coinvolgimento delle persone?
F.
Siamo alla ricerca di altri linguaggi per la narrazione. Nell’epoca attuale ci vogliono testimoni, sentinelle, ma anche mediatori che colleghino ciò che apparentemente è altrove, e che riportino la scala locale alla scala globale e viceversa. Sono auspicabili nuove alleanze tra agenzie educative più o meno informali impegnate nella cura della formazione delle persone, perché tutti siamo protagonisti della storia dell’umanità.

Maria Teresa, raccontaci invece secondo te quanto sono importanti le tre dimensioni dell’informazione, della sensibilizzazione e della formazione oggi, dove potenzialmente con la tecnologia le informazioni sono accessibili a tutti ma dove abbiamo l’impressione che ci sia sempre più superficialità e indifferenza?
M.T. In questo mondo dove molti credono di essere “tuttologi”, sento molto l’esigenza di un’informazione corretta e sicura, lo dico spesso ai ragazzi durante gli incontri: bisogna informarsi, ma per farlo bisogna anche darsi la pazienza di cercare delle fonti affidabili, trasparenti e non pensare che tutto quello che si sente – mi vengono in mente i social network – sia la Verità con la V maiuscola. Una volta che ci siamo informati è giusto agire, senza però ergersi a predicatori da un palco: l’importante è la tua testimonianza, il “predicare bene e il razzolare altrettanto bene”. Infine la formazione, che è fondamentale: nessuno nasce imparato, dobbiamo avere l’umiltà di dire “voglio sapere, voglio conoscere”, ovviamente in maniera non superficiale. E non è mai tardi per formarsi, ricordiamolo… Quindi, per chiudere il cerchio: informarsi, da fonti sicure; condividere, portare la nostra testimonianza; formarsi, accrescere il nostro bagaglio di conoscenze.

Negli anni hai viaggiato molto, visitando direttamente vari progetti in diversi Paesi del mondo e riportando poi qui la tua testimonianza. Collegandoci alla domanda precedente ti chiediamo: ne è valsa, ne vale e ne varrà ancora la pena?
M.T. Sono stata in vari luoghi in Africa, America Latina, Asia, dove ho sempre trovato la massima accoglienza come persona prima che come rappresentante di un’Associazione. Questo ha fatto sì che di volta in volta mi sono sentita considerata e mi sono messa in gioco portando il mio contributo personale, quello che poteva essere utile in quel contesto: stare con i bambini, insegnare l’italiano, ricamare, fare la polenta… Ognuno dà quello che sa e quello che è, l’importante è lo scambio, la relazione autentica. Quindi certo, ne è valsa la pena. Dico una frase trita e ritrita, ma vera: alla fine è più quello che ricevi che quello che dai. Aggiungo un’ultima cosa sulla testimonianza, usando un’altra frase: in un viaggio “vai, guarda, vivi, poi torna e fai”, l’esperienza deve essere condivisa, almeno in parte.

Cosa sogni per il futuro di Insieme si può?
F. Un futuro generativo e rigenerativo, fatto da e di persone: la costante predisposizione a rimettersi in gioco, a discutere e cambiare punto di vista per cercare soluzioni, ottenere garanzia di dignità e diritti umani sempre più CON e sempre meno PER.
M.T. Il sogno che forse hanno in molti, cioè che Insieme si può non esista più, perché vorrebbe dire che nel mondo ci sarebbero giustizia, uguaglianza, dignità e diritti per tutti, non più Paesi ricchi e Paesi poveri. Ma siccome un viaggio parte sempre dal primo passo, credo che dobbiamo pensare di riuscire a raggiungere questo futuro continuando a fare piccoli passi quotidiani per costruire, sognare un mondo migliore… Ce la facciamo, ho detto che sono ottimista!

Per concludere, cosa significa per te essere ISP?
F.
Uno stile di vita. Permea le dimensioni della mia vita di donna, di volontaria, di sostenitrice, di ingaggiata.
M.T. Dico una cosa molto banale ma è così: è una famiglia, che vive insieme e che ha un orizzonte comune, quello di costruire un mondo migliore, così l’ho vissuta in questi 30 anni. Si cresce assieme, ci sono dei contrasti che vanno riparati e superati, anche delle sconfitte, ma questo capita in tutte le famiglie: anche le sconfitte ci insegnano ad andare avanti.