Il mio primo viaggio in Africa, un’avventura ancor prima di partire

Viaggiare in aereo in qualsiasi parte del mondo (almeno fino alla comparsa del Covid-19) è ormai diventata una cosa assolutamente normale. Attraverso un semplice telefonino si può prenotare il volo, scegliere il posto a sedere e, ove richiesto, fare il visto d’ingresso per il Paese di destinazione.

Grazie ai social si può rimanere costantemente in collegamento con il mondo intero, telefonare, inviare messaggi, foto e filmati a parenti e amici per documentare “in diretta” ogni momento del proprio viaggio.

Durante i lunghi mesi di lockdown, ho avuto tempo e modo di mettere ordine nella montagna di carte che negli anni si erano accumulate in un grande armadio di casa mia. Come succede in uno scavo archeologico, da quei cassetti, scatole, contenitori vari, è venuto fuori di tutto. Molte cose sono finite nel cassonetto della carta, ma ho ritrovato anche documenti, lettere, biglietti, foto, che mi hanno riportato agli anni Ottanta e ai miei primi viaggi in Africa al seguito di Don Vittorione.

Un biglietto in particolare ha acceso i miei ricordi.

Dopo aver conosciuto Don Vittorione nel mese di febbraio 1982, mi ero offerto di partecipare come volontario al suo viaggio umanitario in Uganda, previsto per il mese di luglio. Ad aprile era arrivato il suo benestare, per cui avevo provveduto a fare il passaporto e a recarmi a Venezia per la vaccinazione contro la febbre gialla, che sapevo essere obbligatoria. Dopo una breve comunicazione per informarmi dove e quanto saldare il costo del biglietto aereo (mi ricordo ancora oggi che si trattava di 670.000 lire), non avevo più avuto nessuna notizia. Finalmente il 10 luglio avevo ricevuto un biglietto, scritto da don Vittorio, datato 6.7.82, contenente le istruzioni per la partenza: “Trovarsi a Milano Malpensa la sera del 16 luglio venerdì alle ore 20. Partenza alle 22.50 con volo AZ041 per Roma. Arrivederci, Vittorio”.

Decisamente poco se si pensa che era la prima volta che viaggiavo in aereo, che non conoscevo nessuno (se non don Vittorio, che però non ha poi volato con lo stesso aereo), che non avevo il biglietto e che, in caso di necessità, non avrei potuto contattare nessuno visto non esistevano ancora i telefonini ma solo telefoni fissi.

Io comunque il 16 luglio mi faccio trovare con largo anticipo all’aeroporto della Malpensa. La temperatura è di 34°, ma ad un certo punto si scatena un temporale impressionate. Il cielo è solcato da fulmini non certo rassicuranti. Intanto il tempo passa e io incomincio a preoccuparmi. Ad un certo punto mi passa di fronte un uomo che grida nella sala imbarchi: “Don Vittorio, gruppo di don Vittorio!”. Capisco che è alla mia ricerca e lo fermo. Mi ritrovo subito circondato da una comitiva in partenza per l’Uganda formata da 9 persone. Con Enzo, Angelo, Giuseppe, Giovanni e Piera, che sono di Bassano, ho anche viaggiato sullo stesso treno da Vicenza a Milano e solo per un pelo non ho preso lo stesso loro pullman per l’aeroporto. A me comunque è andata meglio, perché loro hanno forato ben due gomme e sono stati costretti a ricorrere all’autostop. Ci sono poi Giovanni da Napoli, Lorenzo da Firenze, Luigi e Renato che arrivano da Novara.

Mentre sbrighiamo le pratiche doganali mi rendo conto che il mio bagaglio è il più spartano e che non ho fatto la profilassi contro la malaria, che inizio seduta stante grazie alle pastiglie donatemi da chi ne ha in eccedenza. Dopo una lunghissima sosta a Roma, finalmente alle 4 del mattino si parte per l’Uganda con uno dei due sgangherati aerei Boeing 707 dell’Uganda Airlines (uno si schianterà sulla pista di Fiumicino, mentre l’altro verrà sequestrato dall’ONU a Sarajevo perché pieno di armi di contrabbando). Arriviamo alle 10 di mattina, e una volta usciti dall’aeroporto di Entebbe inizia davvero il viaggio che mi ha cambiato la vita.    

Piergiorgio Da Rold