Una via di mezzo chiamata sobrietà

Di Piergiorgio Da Rold

 

Sono nato nel 1953, in casa. Mia mamma ha dovuto arrangiarsi perché la levatrice è arrivata quando tutto era finito (bene).
Ho avuto l’acqua in casa nel 1960 e fino ad allora si andava a prenderla con i secchi alla più vicina fontana. Anche il gabinetto era fuori casa.
Sono andato a scuola a piedi, sia alle elementari sia alle medie, anche quando pioveva e nevicava. Quando arrivavo a casa e mi lamentavo perché la maestra mi aveva tirato un orecchio, mia mamma invece che denunciarla, mi chiedeva se era il destro o il sinistro e poi mi tirava lei (e forte!) quello finora risparmiato.
In ferie andavo 10 giorni da mio zio a Belluno, che era il custode della centrale Enel sull’Ardo (posto comunque straordinario).
Il cibo non mi è mai mancato ma la carne era limitata ai conigli e alle galline autoallevati e il pesce dipendeva dalla abilità di pescatore di mio padre.
Avendo una mucca nella stalla non mancava il latte ma neppure un duro lavoro durante l’estate per raccogliere il fieno necessario per tutto l’anno.
Ho avuto la televisione in casa nel 1964 e in alcune serate (festival di Sanremo o partire di calcio dell’Italia) ho contato fino a 27 spettatori, che costituivano il 50% degli abitanti del paese (gli altri erano nella casa dove c’era l’altro televisore).
Ho avuto il telefono nel 1977.

 

Oggi tutto è cambiato. In una famiglia di quattro persone ci sono quattro cellulari, quattro automobili, quattro televisori. Si va in ferie ogni anno e si viaggia spesso all’estero.
Oggi tutto è dovuto, tutto è un diritto, mentre poco o nulla viene considerato un dovere.
Si mangia troppo e male e la prova è nei tanti, troppi adulti, ma anche bambini, obesi.
Siamo sempre di corsa, sempre più tristi, sempre più solitari (nonostante e probabilmente a causa dei social), sempre più infelici.
Ci consoliamo frequentando anche di domenica, anche il giorno di Natale (!), i sempre più numerosi super, iper, mega mercati, comprando anche quello che non ci serve e che spesso è dannoso alla salute.
Confondiamo il prezzo delle cose con il loro effettivo valore. Siamo attratti dal super sconto di un prodotto che proviene dall’altro capo del mondo, ma non ci chiediamo se il prezzo così basso non derivi magari dallo sfruttamento degli operai locali, spesso ridotti in vera e propria schiavitù. Come è possibile, infatti, che il riso che arriva dalla Cina possa costare meno di quello coltivato in Piemonte?

 

Ma non esiste una via di mezzo tra gli anni sessanta e oggi, tra la penuria di mezzi di ieri e lo spreco assurdo di oggi?
La strada esiste e si chiama sobrietà, ma pochi sembrano volerla percorrere anche se è l’unica che ci può portare da qualche parte e non a girare intorno, come stiamo facendo ora, o peggio in un fosso, come succederà a breve se non cambiamo stile di vita.
“Sobrio” è il contrario di “ebrius”, che significa, ubriaco, esaltato, su di giri.
La nostra è indubbiamente una società ubriaca di consumi, di piaceri, di cose materiali; una società dell’abbondanza, dell’apparenza, dell’opulenza, del ben-avere più che del ben-essere; una società condizionata da una insaziabile domanda di beni, che non riescono mai a soddisfare i nuovi bisogni.
Sobrio, invece è chi vive in modo in-nocente (che non nuoce), cioè equilibrato, misurato.
Per questo motivo la sobrietà è uno stile di vita “sostenibile”, ossia capace di futuro.
É la riaffermazione che la vita non è solo “quantità” ma “qualità”. Non è scelta numerica (quanti vestiti, quanti dolci, quanto spendere per le vacanze ecc.), ma equilibrio, essenzialità, armonia.

Sobrietà è capacità di distinguere i bisogni reali da quelli fasulli e di controllare i propri desideri.