Ricchi, poveri, signori

La vera domanda non è: cosa faccio io del mio denaro? Ma: che cosa il denaro fa di me?
Sono convinto che l’incontro di oggi ribadirà che sull’utilizzo della ricchezza del mondo si giocheranno l’esistenza e il futuro prossimo dell’umanità. È evidente, infatti, che un mondo come l’attuale, dove l’1% della popolazione ha in mano una ricchezza pari a quella dell’altro 99% (e le cose, anche a causa del Covid, stanno peggiorando!) non può andare molto lontano.

Altri svilupperanno a dovere questo tema e tra tutti saluto l’amico don Renato Sacco, con il quale oltre a tante idee condivido anche il primo cellulare ecologico e equo-solidale messo sul mercato.
Io qui vorrei affrontare il problema del denaro dal punto di vista del… denaro. Perché, se è più che giusto chiedersi cosa ne facciamo dei nostri soldi (personali, familiari, associativi, nazionali…), credo sia altrettanto importante chiedersi anche che cosa fanno i nostri soldi di noi. Dobbiamo ammettere, infatti, che è comunque il denaro (e la sua ricerca) a guidare la nostra vita e a determinare le nostre scelte. E spesso non certo in positivo.

Il denaro non è cattivo, ma racchiude in sé il demoniaco potere di rovinare persone, famiglie, matrimoni, rapporti con i vicini, e di distruggere contemporaneamente il ricco, inaridendo il suo cuore, e il povero, annientandone l’umanità con la miseria, cioè con la mancanza di beni essenziali (cibo, acqua, medicine, istruzione, libertà…), ma anche inducendolo ad una spasmodica ricerca. Pensiamo alle autentiche guerre familiari che spesso si accendono dietro la spartizione dell’eredità lasciata alla morte di un genitore. Pensiamo a chi rovina la sua vita e quella della famiglia con il gioco (slot machines, gratta e vinci…) nella speranza di diventare ricco tutto in un colpo e senza fatica.

L’essere ricchi è indubbiamente un qualcosa di oggettivo, cioè fatto di conti in banca, di proprietà, di tenore di vita, ma allo stesso tempo è anche un fatto soggettivo. Infatti posso essere povero, ma se sono animato da invidia e da rabbia per quello che non ho, se sono disposto a tutto per ottenere quei beni, se per questo sacrifico tempo, affetti, amicizie, non sono diverso da un ricco.

Il pericolo rappresentato dal possedere tanti beni (o dal gestirli, sia pure a fin di bene) è reale e molto grande, e infatti interessa anche persone per molti aspetti straordinarie. Penso a quel prete albanese che, rinchiuso per trent’anni in carcere, non cedette mai all’ateismo di Stato imposto dal dittatore comunista Hoxha. Una volta ritornato in libertà, bastarono un paio d’anni perché i soldi ottenuti da tanti benefattori, colpiti dalla sua testimonianza, lo rovinassero completamente.

In poco tempo dilapidò tutto, lasciando anche debiti milionari, in speculazioni azzardate e in investimenti assurdi e addirittura apertamente disonesti.  Penso a don Verzè, il fondatore dell’Ospedale San Raffaele di Milano, che dopo una vita meritoria nella quale ha fatto un mondo di bene, negli ultimi anni della sua vita ha perso letteralmente la testa, facendosi costruire un ufficio immenso con voliera sul tetto dell’ospedale, acquistando un aereo personale e una villa in Brasile. Penso a quel vescovo (peraltro amico fraterno e fan del presidente Donald Trump, no vax e nemico giurato di Papa Francesco) che, non soddisfatto delle proprie ricchezze valutate in 40 milioni di euro, ha frodato il fratello prete e disabile di 4 milioni e per questo è stato condannato dal Tribunale di Milano a risarcire l’intera la somma. E se l’essere ricchi o poveri può non dipendere da noi ma dalle circostanze della vita, ognuno di noi dovrà comunque “fare i conti” riguardo all’utilizzo dei beni (non solo economici) ricevuti.

Esiste un parallelismo, spesso (volutamente?) ignorato sia dal mondo economico sia da quello religioso che mette in relazione il letame con la ricchezza, definita dai primi Padri della Chiesa (III secolo) “lo sterco del diavolo”. Pensiamo al letame, a cosa serve, per che cosa viene usato. Lo porteremmo mai in casa? Lo prenderemmo mai in mano? Pensate alla puzza, alle mosche, ai vermi, al senso di morte che il letame suscita. Il modo giusto per utilizzarlo è di spargerlo perché concimi il terreno, che così produrrà frutti, fiori, erba. Vita, insomma. Lo stesso vale per il denaro: l’unico modo efficace per neutralizzare il suo potere demoniaco è di donarlo.

Quando Gesù parla di denaro, lo personifica, ne fa addirittura un dio (Mammona, che significa: colui che dà certezza, sicurezza). Tra Dio e Mammona, dice Gesù, è guerra: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e Mammona” (Lc 16,13). Per Gesù la ricchezza è uno degli ostacoli più grandi alla salvezza, perché allontana e rende impotente e inefficace la Misericordia di Dio. La sua pericolosità è così grande da ricevere una condanna senza appello: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno di Dio” (Mc 10, 23-24).
Questo è stato reso molto efficacemente da Papa Francesco che, parlando della necessità di fare del bene con le proprie ricchezze, ha detto: “Avete mai visto un funerale con dietro un autotreno con su scritto trasloco?”.

“Insieme si può…” si è prefissata sin dall’inizio il grande compito di costruire un mondo migliore. Questo potremmo tradurlo oggi nell’impegno a costruire un mondo dove nessuno è ricco o povero, ma dove tutti sono “signori”.
Qual è la differenza tra il “ricco”, il “povero” e il “signore”?
Mentre il “ricco” è colui che ha, il “povero” colui che non ha, il “signore” è colui che dà, che condivide!

Dall’Uganda, dove mi trovo, posso testimoniarvi che anche qui tra i “poveri” ci sono tanti “signori”, cioè persone che sanno condividere quel poco che hanno con chi ha meno di loro. Così come tra i “nababbi” del mondo ci sono tanti miserabili, cioè persone la cui vita è colma unicamente delle proprie ricchezze, che non bastano mai alla loro ingordigia.

Oggi siamo chiamati a diventare “signori”, cioè a condividere ciò che possediamo con chi spesso non possiede nulla. Solo così il nostro denaro (ma non solo) diventerà allo stesso tempo fonte di salvezza per chi lo riceverà sotto forma di pane, acqua, vestiario, medicine… E motivo di gioia e di salvezza per noi che lo avremo condiviso.

Piergiorgio Da Rold – Intervento di apertura del 38° incontro annuale dell’Associazione “Insieme si può…” onlus ONG