I doni del pastore Yehoshua

di Piergiorgio Da Rold

 

Dopo il sorprendente annuncio dell’Angelo: “Oggi nella città di Davide, è nato il vostro salvatore, il Cristo, il Signore”, alcuni dei pastori presenti decisero di recarsi a Betlemme per vedere di persona questo “Salvatore”.

Anche Yehoshua, uno dei pastori più giovani, si mise in cammino, non prima di aver preso con sé un recipiente pieno di latte appena munto e una coperta di lana, frutto dell’ultima tosatura delle sue pecore. Lungo il cammino, quando era ormai alle porte della città, si imbatté in un uomo mezzo nudo che dormiva infreddolito sul ciglio della strada. Impietositosi, si fermò e gli pose sulle spalle la calda coperta di lana. Poco dopo incontrò una povera vedova che di buon’ora si stava recando al mercato per chiedere l’elemosina per i propri bambini affamati. Senza pensarci su due volte, Yehoshua mise nelle mani della donna il recipiente colmo di latte ancora tiepido.

Quando finalmente raggiunse la stalla indicata dall’Angelo i suoi compagni lo avevano preceduto di parecchio e avevano già consegnato alla mamma i doni che ognuno aveva portato con sé. Lui, ultimo della fila, si ritrovò davanti a quella giovane donna senza più nulla da offrire. Lei, visto il suo imbarazzo, prese il Bambino dalla mangiatoia e con uno splendido sorriso dipinto sul volto, glielo mise tra le mani.

Mentre goffamente cullava quel Bambino tra le forti braccia, Yehoshua avvertì una sensazione di pace mai provata prima. Nella sua mente risuonarono allora le parole dell’Angelo che aveva preannunciato “una grande gioia” a tutti gli uomini “di buona volontà”. Ma lui non aveva fatto nulla per meritare quella felicità che gli scaldava così tanto il cuore!

In risposta ai suoi dubbi, sentì qualcuno che lo ringraziava per la coperta, davvero bella, calda e soffice e per il latte, così cremoso… Il fiato gli rimase in gola per un periodo che gli sembrò infinito. Come era possibile? Nessuno lo aveva visto compiere quei gesti, nessuno poteva sapere! Il suo stupore di-venne ancora più grande quando, guardandosi intorno, constatò che in realtà nessuno gli stava parlando e che quelle parole le aveva udite solo lui. Ma chi le aveva pronunciate? Il suo cuore gli suggerì che l’unica, anche se incredibile risposta era che a parlargli, sia pure in modo misterioso, fosse stato quel Bambino addormentato tra le sue braccia.

A confermare la cosa, mentre a malincuore lo stava restituendo all’abbraccio di sua Madre, sentì nuovamente quella voce che gli diceva: “Grazie per essere venuto. Ho chiamato voi pastori per primi perché da grande farò anch’io il vostro lavoro. Io sono il buon Pastore, io conosco le mie pecore e loro conoscono me. E per queste pecore io do la mia vita” (Gv 10, 14-15).

Mentre assieme ai suoi compagni faceva ritorno al gregge, Yehoshua ripensò a quanto gli era successo e a quell’ultimo messaggio: “Vai a dirlo tutti!”, ricevuto al momento di lasciare il tepore della stalla. Amaramente ammise a se stesso che aveva scelto la persona meno indicata. La parola di un pastore non aveva nessun valore e poi lui cosa poteva dire? In fondo aveva semplicemente tenuto in braccio un Bambino nato in una misera stalla. Come poteva raccontare che quel Bambino gli aveva detto di essere il Messia, il Salvatore? Lo avrebbero preso per un pazzo!

Poi ripensò a quando il Bambino lo aveva ringraziato per i doni fatti al povero e alla vedova e capì che era come se lui gli avesse detto: “Tutto quello che farai a uno di questi piccoli l’avrai fatto a me! Ogni volta che le tue mani si svuoteranno io riempirò il tuo cuore con la gioia della mia presenza”. Questo sì poteva dirlo a tutti, con le parole, ma soprattutto con l’esempio di una vita donata agli altri e vissuta nella pace e nella gioia!

Contagiando anche i suoi compagni, iniziò quindi a lodare Dio e a ringraziarlo per quello che aveva sentito e visto, perché davvero oggi, nella città di Davide, era nato il Salvatore, il Cristo, il Signore.