Coraggio = abbi cuore!

di Piergiorgio Da Rold

 

La parola CORAGGIO richiama al CUORE. Deriva dal latino cor habeo, che vuol dire avere cuore, agire con il cuore.

Il coraggio quindi è quella forza d’animo che ci viene quando facciamo le cose a cui davvero teniamo. Quella “forza segreta” che ci fa affrontare le paure e i pericoli. In fondo, come è possibile rischiare la propria vita o le proprie convinzioni per qualcosa in cui non crediamo davvero? Metterci il cuore nelle cose che facciamo rende possibile avere una forza in più!

Purtroppo nel tempo il coraggio è stato legato in modo quasi esclusivo o comunque predominante alla sfera cavalleresca, militaresca e quindi alla forza fisica.

Due esempi di questa idea (riduttiva e in parte sbagliata) di coraggio.

Enrico Toti

È uno degli eroi più celebrati della prima guerra mondiale. Arruolatosi volontario nonostante la mancanza di una gamba, durante l’assalto a una trincea nemica, finite le pallottole, gettò contro il nemico la sua stampella.

Ma ha più coraggio un militare che obbedisce agli ordini anche quando questi sono di massacrare uomini, donne e bambini, oppure quella di un obiettore di coscienza che in nome di principi umani e cristiani, accettando di pagarne le conseguenze, si rifiuta di combattere?

Nella storia anche recente i primi erano degli eroi, i secondi dei vigliacchi.

Nel febbraio del 1965 i cappellani militari della Toscana emanavano un comunicato stampa nel quale accusavano i giovani italiani obiettori di coscienza di essere dei vigliacchi. In loro difesa intervenne don Lorenzo Milani con una lettera aperta agli stessi cappellani, nella quale chiedeva rispetto per chi accetta il carcere per l’ideale della nonviolenza. Per questa sua lettera don Milani venne denunciato e messo sotto processo.

Avere un coraggio da leone

Ma ha più coraggio il leone che è il re della savana, e quindi al vertice della catena alimentare, o l’antilope che invece ha come unica arma la fuga? Allora l’antilope non è coraggiosa? Oppure il coraggio dell’antilope è proprio di mettere tutto il suo cuore nella fuga?

FRASI FAMOSE SUL CORAGGIO

“Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”, fa dire il Manzoni a Don Abbondio.

Il giudice Falcone, uno che di coraggio se ne intendeva, ebbe a dire poco prima di venire ucciso: “Il coraggioso muore una volta, il codardo cento volte al giorno!”.

Nella Bibbia c’è questa bellissima immagine di Dio che dice agli uomini: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36,28).

Un cuore di pietra, impermeabile e impenetrabile alla gioia e alla sofferenza è un cuore morto. Un cuore di carne aumenta i propri battiti quando si emoziona, quando si indigna, quando si innamora.

Purtroppo la parola “coraggio” viene usata anche a sproposito, perché riferita a qualcosa di assolutamente negativo.

È abbastanza comune sentir dire: “Ha avuto un bel coraggio per aver fatto questo!”, magari riferito a uno che ha ucciso la moglie e figlio piccolo perché lei voleva lasciarlo.

 

IL CORAGGIO E IL SUO OPPOSTO

Se coraggio vuol dire “avere cuore, agire con il cuore”, allora il suo opposto è “essere senza cuore, agire senza cuore”.

Il contrario del CORAGGIO non è quindi la PAURA, ma la capacità di vincere, di superare la paura. È però vero che quando in un cuore viene a mancare il CORAGGIO, quello spazio viene riempito dalla PAURA, e, purtroppo, mentre il CORAGGIO va costantemente alimentato, la PAURA si alimenta di se stessa!

La PAURA ci impedisce di vedere bene le cose, ne ingigantisce alcune e ne rimpicciolisce altre, facendoci perdere l’obiettività.

La PAURA ci porta a chiudere porte e finestre sotto la minaccia, a volte solo presunta, che qualcuno possa portarci via qualcosa, ma così facendo ci porta via anche la gioia di vivere e di fare qualcosa di bello per gli altri e per la nostra vita. La PAURA ci ruba la vita!

La PAURA ci fa dire: “Prima noi! Porti chiusi! No all’invasione di negri, musulmani, terroristi!”, quando in realtà noi PRIMI lo siamo da sempre. La nostra generazione ha goduto di un benessere superiore a quello di tutte le generazioni che ci hanno preceduto messe insieme. Questo, invece che renderci più solidali, più misericordiosi (= avere a cuore la sorte dei miseri, dei poveri, degli ultimi) con chi vive oggi peggio di come vivevamo noi 100 anni fa, ci porta a costruire muri fisici, psicologici, religiosi in difesa di tutto ciò che pensiamo possa minacciare il nostro benessere e la nostra millenaria civiltà cristiana.

La paura dell’Altro, del diverso da noi, dello straniero, ci fa dimenticare che alla base del nostro benessere, che ci permette, pur essendo solo il 20% della popolazione mondiale, di avere tutto e di usare e sprecare tranquillamente l’86% del cibo, dell’acqua, delle risorse magari per produrre armi (1.880 miliardi di euro all’anno), farmaci per la bellezza e il dimagrimento (il 95% della ricerca farmaceutica), c’è il furto criminale delle risorse naturali proprio di quei Paesi dai quali fuggono tante persone.

 

UN CORAGGIO, TANTI “CORAGGI”

Vediamo allora di declinare il CORAGGIO nelle sue varie forme, tutte importanti, tutte vitali per la nostra vita e la vita di questo mondo, che noi vorremmo migliore…

 

Il CORAGGIO vissuto 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno

Innanzitutto diciamo che il CORAGGIO non si improvvisa, ma nasce da un costante impegno personale. Il CORAGGIO non si possiede una volta per tutte ma si conquista, e si può anche perdere, ogni giorno.

Probabilmente a nessuno di noi capiterà di fare un gesto coraggioso, per esempio di mettere a repentaglio la propria vita per la salvezza di qualcuno, ma non per questo la nostra vita sarà meno caratterizzata dal coraggio. Non solo, spesso gli eroi veri, quelli che mettono in campo il coraggio ogni giorno, li abbiamo vicini a noi e magari rischiamo di non vederli neppure.

Penso per esempio a Lucia, che da 37 anni si occupa del figlio disabile. Si tratta di 13.500 giorni segnati da gesti quotidiani: vestirlo, dargli da mangiare, fargli fare i bisogni, somministrargli le medicine, tenerlo in braccio, parlargli, anche se lui non ti può rispondere, accarezzarlo, anche se lui non ti può ricambiare se non con un sorriso. 13.500 giorni senza una prospettiva di miglioramento, senza la speranza di un domani diverso da quello di ieri e di oggi. Anzi, nel tempo si è aggiunta anche l’aggravante di un marito che a un certo punto se n’è andato, lasciandola sola ad affrontare una situazione così difficile. Ci vuole davvero tanto coraggio, cioè tanto cuore, per aver fatto questo 13.500 giorni della propria vita ed essere pronti a rifarlo per tutti i domani che ci saranno.

Ma penso anche a Maria Teresa e alla sua vita caratterizzata dal servizio. Ha servito, sin da giovanissima, prima il bisnonno, poi la mamma, poi la suocera e infine il marito, negli ultimi dieci anni malato di silicosi. Ha servito i figli, soprattutto il maschio, per 61 anni.

Ha servito la Chiesa come catechista, sacrestana e custode della chiesetta del paese. Ha servito le missioni e i poveri. Fu una delle iniziatrici del Laboratorio Missionario Parrocchiale, che negli anni ‘80 e ‘90 ha spedito centinaia di pacchi ai missionari e prodotto centinaia di scarpét. Da subito aveva aderito a “Insieme si può…”, versando la propria quota mensile di autotassazione a favore dei più poveri.

E che dire del servizio prestato a centinaia di persone che hanno varcato l’uscio di casa dopo essere state vittime di una caduta, di una slogatura, di un problema muscolare? Sempre disponibile anche quando la gente arrivava a tutte le ore, convinta che fosse un suo dovere mettere a disposizione di chi aveva bisogno il dono che aveva nelle mani.

Unico compenso richiesto un pacchetto di caffè, e quando qualcuno voleva lasciare un contributo in denaro questo finiva sempre nella casse del Laboratorio Missionario o di “Insieme si può…”.

Un giorno un’amica andò a trovarla e le chiese se non fosse triste e amareggiata dal fatto che il figlio la lasciava spesso da sola per recarsi in Africa. Lei, non senza nascondere un velo di amarezza, aveva risposto: “Sì, a volte sono proprio stufa, ma non perché lui è partito… Perché io non ho mai avuto il coraggio di andare con lui”.

Lucia è mia sorella, Maria Teresa è mia mamma.

 

Il CORAGGIO di scegliere

Per “Insieme si può…” questo ha da sempre significato mettere gli ultimi al centro delle proprie attività. Senza guardare a chi è il povero, al fatto che meriti o meno il nostro aiuto, al fatto che magari ci stia fregando. Scegliere gli ultimi è una scelta obbligata, pena tradire quella che è la nostra missione sia come gruppo sia come singoli.

 

Il CORAGGIO di rischiare (e di sbagliare)

“Le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e non esistono”. (Aristotele)

“I rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli”. (Frase pronunciata da Roberto Baggio dopo aver sbagliato il rigore contro il Brasile alla finale dei mondiali del 1994)

Solo chi non fa nulla non sbaglia. Fare comporta dei rischi e, pur mettendoci tutta la buona volontà, il risultato non è assolutamente garantito. Questi ultimi anni sono stati difficili per la nostra Associazione. Numerosi sono stati anche gli errori che, sia pur fatti in buona fede, hanno causato comunque divisioni e sofferenze. Se ne siamo usciti è solo grazie a chi ha messo davvero il cuore in quest’opera, nata ormai 36 anni fa.

 

Il CORAGGIO di violare una legge quando questa va contro il cuore

Il coraggio di non seguire le regole quando queste vanno contro il bene delle persone. Il coraggio di pagarne le conseguenze. Il coraggio di impegnarsi per cambiare quelle leggi e quelle regole.

Vorrei ricordare che Gesù Cristo è stato condannato a morte anche per non aver rispettato il Sabato e il divieto in quel giorno di lavorare, di guarire gli ammalati, di fare festa con gli amici.

Di Don Milani abbiamo già detto, ma la settimana scorsa ho letto questa notizia:

“Anziano di 82 anni muore di tumore in carcere. La sua colpa? Aver portato in Italia un clandestino dalla Grecia nel suo furgone. Tre anni e mezzo di carcere per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Niente domiciliari, perché dopo la condanna ha perduto il sussidio e la misera pensione non era sufficiente a permettergli di vivere da solo in un appartamento”.

 

Il CORAGGIO di andare contro corrente

Da sempre nell’ufficio di ISP c’è un quadro con dei pesciolini che nuotano in una direzione e uno, uno solo, che nuota controcorrente.

Quel pesciolino (diciamolo pure: rompiscatole?!) rappresenta tutti coloro che, dopo aver preso atto che dai “grandi”, dai potenti, dai ricchi, ma oggi anche da chi urla “prima noi!”,  possiamo aspettarci poco o nulla, per non diventare loro complici nel perpetuare un sistema che premia l’apparenza rispetto alla sostanza, la forza rispetto alla giustizia, l’indifferenza rispetto alla solidarietà, decidono giorno dopo giorno di fare la propria (piccola ma determinante) parte per costruire un mondo migliore.

 

Il CORAGGIO di affidarsi alla Provvidenza

A volte, di fronte all’enormità dei problemi che interessano l’umanità e ai pochi mezzi umani ed economici messi in campo, ci si può scoraggiare, cioè può venirci meno il coraggio. Dovremmo allora ricordarci che non siamo da soli ad avere a cuore la sorte dei più poveri, che il nome di quei poveri è tatuato sulla mano di Dio e che di fronte alle nostre esitazioni nella Bibbia ci esorta a “non avere paura” per 365 volte, una per ogni giorno dell’anno.

 

Il CORAGGIO di perdonare

Forse è la cosa più difficile. Perdonare a chi non ha risposto alle nostre aspettative, a chi ci ha imbrogliato, a chi ha approfittato del nostro “buon cuore”. Ma coraggio anche di perdonare noi stessi, per ricominciare senza portare perennemente nel cuore il peso della colpa. Perdonare e perdonarsi è l’unico modo per smetterla di guardare al passato e ritornare a guardare al futuro.

 

Il CORAGGIO di cambiare sfidando i tempi nuovi ma rimanendo allo stesso tempo fedeli allo spirito delle origini

Lavorare PER i poveri: 1×1 = 1

Lavorare CON i poveri: 1+1 = 2

Ma quando di fronte a un bisogno ti ritrovi con le mani vuote?

Quando sei completamente impotente di fronte a una malattia?

Quando ti rendi conto che quello che stai facendo è davvero piccola cosa rispetto agli enormi problemi esistenti nel mondo?

Quello è il momento in cui o ti ritiri, dicendo a te stesso “Basta, tanto non serve a nulla, non posso fare nulla!”; o il CORAGGIO ti porta a fare una cosa straordinaria: a donare la cosa più preziosa che hai (che, come tutte le cose più preziose, non è una cosa). Quello è il momento in cui ti viene chiesto di donare te stesso.

Quello è il momento in cui la matematica non ha più valore, per cui: 1+1 = 1

Quello è il momento in cui tu diventi UNO con la persona che hai davanti, e non c’è più distinzione tra lui e te.

È quanto succede quando due che si amano decidono di avere un cuore solo e quindi di essere coraggiosi insieme!

Vi faccio due esempi personali di come si può vivere così il coraggio. Il primo negativo, il secondo positivo.

Un barbone a Kampala

Kampala (Uganda)

In mezzo al traffico caotico dell’ora di punta, tra tante gente comunque vestita, scorgo un uomo mezzo nudo che chiede l’elemosina.

Con terrore aspetto il momento in cui arriverà da me e mi dirà: “Ho fame!”.

Non ho nulla da dargli: niente cibo, niente denaro, niente.

E la mia impotenza diventa vergogna.

Per quella mano che non ho potuto riempire

Per quello sguardo che non ho voluto incrociare.

Qual è stata qui la mia colpa? Il non aver avuto il coraggio di incrociare il suo sguardo.

Quante volte abbiamo distolto lo sguardo, girata la testa, cambiato canale che trasmetteva immagini sulla fame, sulle donne violentate in Libia, sui profughi siriani, sulla siccità in Africa? Quante volte ci siamo giustificati e autoassolti, dicendo che comunque non è colpa nostra, che dovrebbero pensarci la Caritas, il comune, l’ONU? E così abbiamo permesso che oggi sia reato chiedere l’elemosina e anche farla, assistere in mare chi sta annegando, portare da mangiare ai barboni che dormono alla stazione.

Moses a Gulu

Moses (Uganda)

Siamo nell’orfanotrofio St. Jude di Gulu, che ospita bambini orfani, disabili fisici e mentali, bambini ammalati di Aids. Tra i disabili mentali più gravi c’è Moses. Gira perennemente nudo con un bastone in mano, rifiuta ogni contatto fisico e gli operatori hanno il loro bel daffare a cercare di fargli indossare almeno i pantaloni, che lui si toglie appena può.

Una mattina me lo trovo seduto per terra davanti alla porta della mia camera. Mi siedo vicino a lui evitando di toccarlo. Lo saluto. Non so proprio cosa fare. E allora inizio a parlargli in italiano. Gli racconto chi sono e che sono tanti anni che vengo qui. Gli dico di portare pazienza se le donne vogliono a tutti i costi vestirlo, gli chiedo coma mai gira sempre con il bastone… Lui mi guarda, sorride, sembra quasi che capisca quello che gli sto dicendo. Allora oso un contatto fisico. Avvicino la mia fronte alla sua fino a toccarla. Lui non si ritrae, anzi, spinge perché il contatto sia più forte. Rimaniamo così, fronte contro fronte, in silenzio, per un tempo che valuto poi in 5 minuti. Infine Moses si stacca, si alza e se ne va con il suo bastone, lasciandomi come regalo un sorriso. Io ho la sensazione di aver vissuto un momento straordinario della vita, anche se in realtà sembra che abbia perso una decina di minuti con un disabile mentale che gira nudo in un orfanotrofio del Nord Uganda.

 

Quando ci sembra di non aver nulla da dare è il momento in cui possiamo dare il massimo, perché possiamo dare una parte di noi stessi. Non cose esterne a noi, non cose che abbiamo comprato. Se siamo coraggiosi, cioè se abbiamo cuore, possiamo solo dare un po’ di questo cuore. Ma è la cosa più preziosa che abbiamo, perché “dove è il nostro tesoro, lì c’è anche il nostro cuore” (Mt 6,21). Un tesoro che nessuno potrà più portarci via, perché lo abbiamo messo al sicuro donandolo.