Ho visto una chiesa povera

Riceviamo direttamente da Gulu questa riflessione di Alessandro, volontario in viaggio con Piergiorgio in Uganda. La pubblichiamo volentieri.

Ho visto una chiesa povera. Gulu, Uganda del nord, 17 ottobre 2010. Ospite dell’ospedale della città, in viaggio in giro per l’Uganda, ho partecipato alla messa delle 18 nella cappella dell’ospedale stesso.Una cappella povera, tinteggiata di azzurro puffo addobbata con i fiocchi da pacco regalo e un orologio da cucina a scandirne il tempo.

Una cappella povera, e stracolma. Con la gente costretta a portarsi la sedia da casa e a inventarsi una seconda platea, oltre la porta, sulla strada. Una cappella vissuta, abitata. Non visitata, omaggiata. Una messa in cui si è cantato battendo le mani, in cui si è riso, in cui si è applaudito. Una messa vissuta da una vera comunità che, in quanto tale, ha comunicato. Non ascoltato soltanto. Ho visto una chiesa costruita e tenuta in piedi dalla fede, dal fuoco vivo del credere in qualcosa che si manifesta nel quotidiano vivere e sperare, dove quel poco, pochissimo che c’è per vivere avrebbe tutto il diritto di affievolire la speranza.

Ho visto una Chiesa che non ha bisogno di luci per mostrare il proprio splendore. Una Chiesa il cui splendore e la cui impagabile ricchezza è la luce dell’animo e dei sentimenti di chi la edifica e di chi la vive quotidianamente.

Ho pensato alla nostra (non mia) Chiesa. Ho pensato a una Chiesa svuotata da queste emozioni, questa fede, e riempita con l’oro, il rituale, il «così sia».

Mi si dirà: sì, ma se quella Chiesa nel sud del mondo avesse le stesse possibilità della sorella del nord, i fiocchi da pacco regalo diventerebbero d’oro e l’azzurro puffo pietra di Castellavazzo. Certo, possibile, ma e allora? Forse non è proprio in questo che ci si è completamente smarriti? In uno «sviluppo» il cui sinonimo più fedele è «arricchimento»? Schiavi dell’«avere» abbiamo perso il vivere, cercando di convincerci e, cosa assai grave, cercando di convincere, che così è giusto e “secondo la Sua volontà”. E allora sia; lungi da me voler convincere chicchessia. Restino pure, lor signori, a rappresentare ciò in cui davvero credono. Una Chiesa ricca, e vuota. Una Chiesa in cui la gioventù è assenza da ammonire, non mancanza su cui interrogarsi. Se il perché di quell’eco domenicale per loro risiede altrove, e non anche e soprattutto tra le loro stesse navate, ben per loro. Ma non per me.

E allora sia. Io, potendo, continuerò ogni domenica a fare mezzo milione di chilometri per vivere la Chiesa di Gulu. Una Chiesa povera, e stracolma.

Alessandro De Bon