“Avete presente la pace?”

Avete presente la pace? Quella sensazione in cui nulla ti può toccare, nulla può penetrare la tua corazza, niente può turbare l’equilibrio che si è creato dentro e fuori di te.

La pace di cui parlo l’ho trovata ai piedi di un monte, tra quattro mura e per strada, in mezzo al nulla, tra persone che non conoscevo.

Nulla mi turbava, né il lamento di un caprone in piena notte, né un gatto sempre in mezzo ai piedi, l’unica cosa che è riuscita a turbare il mio equilibrio è stata la consapevolezza di dover tornare a casa.

Casa mia, già, che cos’è casa mia? Cos’è casa? E se ora il concetto di “casa” nella mia testa fosse stravolto a tal punto da non sapere più qual è casa mia? E se non mi sentissi mai più completamente a casa? Ho trovato la mia casa tra i sorrisi della gente, tra i “miei” bambini che nemmeno sapevano ridere, ma che mi hanno donato una gran luce, mi hanno insegnato a svuotarmi le braccia ed il cuore dal mio amore, da tutto quello che potevo donare loro, fossero stati solo dei sorrisi. Casa era il “buongiorno” al mattino, la “buonanotte” alla sera ed il “bentornata” ogni volta che tornavo a casa, come all’orfanotrofio.

Certo, non è stato sempre tutto semplice, la strada non è stata sempre in discesa, ci sono stati giorni in cui avrei voluto chiudere gli occhi e riaprirli a Belluno, in cui desideravo solo tornare a casa, o peggio, non essere mai partita, ma ora, ora che sono qui, non ci sono più davvero, la mia mente è lontana, la mia testa non ce n’è mai andata, un pezzo del mio cuore, chissà quale e quanto grande è rimasto tra la Karamoja e Kampala, in mezzo alle persone che ho conosciuto, con cui ho vissuto, con cui sono anche cresciuta, perché sì, sono diventata un po’ più grande mentre rubavo con gli occhi, mentre camminavo per strada, mentre parlavo con le persone.

Quello che mi ha regalato l’Africa non lo so descrivere, sono partita per cercare di aiutare gli altri, per dare qualcosa a chi ne ha bisogno e sono stata io quella a ricevere aiuto, ad essere arricchita, per quanto io ci abbia provato, per quanto abbia cercato di donare tutto ciò che avessi, sono certa che quello che ho lasciato a loro non è nemmeno lontanamente paragonabile all’universo che loro hanno trasmesso a me. In pieghe silenziose di memoria strillano tutto ciò che d’Africa può parlare, tutti i ricordi, tutti i sorrisi, tutte le nozioni, tutta la vita che mi è entrata dentro e che mi ha fatto capire quanto sia facile sorridere, quanto sia bello vivere.

Nessuna cosa materiale che possiedo potrà mai avere il valore di quello che ho vissuto a seimila chilometri da qui, perché non c’è denaro che possa comprare quello che quelle persone sanno trasmettere. Loro nemmeno lo sanno quello che hanno fatto per me, nemmeno sanno che ora, da così distante, non riesco a staccarmi da loro, da quella vita senza orologio, senza certezze e piena di cose tristi mascherate da un sorriso.

Nemmeno un giorno ho smesso di stupirmi, gli stessi bambini, tutti i giorni ci correvano in contro e ogni volta mi stupivo a non vederli con le scarpe e con dei vestiti aggiustati, mi stupivo a pensare che forse e probabilmente la sera prima non avevano mangiato e che con grande probabilità non avrebbero potuto farlo nemmeno quel giorno. Nessun fastidio mi invadeva quando le loro manine sporche si posavano sui miei vestiti.

Nessuna parola sarà mai all’altezza delle emozioni, nessuna foto potrà mia competere con la realtà, nessun sorriso potrà più competere con quello che avevo lì. Ho solo diciott’anni ed ho deciso di partire per realizzare il mio sogno, ho deciso di andare via da sola e di fare un’esperienza senza precedenti. Ora sono tornata, non mi sento più addosso gli anni che ho, non mi riconosco nei volti dei miei coetanei, non mi riconosco nelle loro idee, non mi riconosco nei loro atteggiamenti e nemmeno nei loro modi di divertirsi, ora e qui, mi sento sola in mezzo a molte persone che non possono capire, non possono capirmi, non possono vedere con i miei occhi quello che vedo io, non possono sentire dentro quello che sento io, che quando parlo di nostalgia mi guardano con degli occhi allucinati, quasi come fossi pazza.

Più passa il tempo, più si allontana quell’esperienza, più capisco come sia difficile riuscire a parlarne, come sia difficile selezionare le cose da dire in mezzo ad una marea di parole chiavi, ma sono disposta a farlo, voglio provare a trasmette agli altri quello che delle persone mai viste prima hanno trasmesso a me senza chiedermi nulla in cambio.
Mi manca l’Africa nella sua totalità. È stato come innamorarsi, provare un amore talmente forte da riuscire ad andare oltre ogni cosa, oltre la diversità, oltre gli odori, oltre la ricchezza e la povertà, oltre ogni immaginazione.

Chantal